La rubrica “Italiani all’Estero” si perde tra il fascino romantico della Paris più bella. Raccogliamo la testimonianza di un’italiana che vive e lavora nel cuore della Francia da 8 anni.
VALERIA DE LUCA. Ho quasi 34 anni e sono nata a Taranto, in Puglia. Ho da poco conseguito il titolo di dottore di ricerca in scienze del linguaggio, più precisamente in semiotica, presso l’Università di Limoges. Vivo a Parigi da ormai otto anni. Vi arrivai un po’ per caso, un po’ per gioco, per effettuare uno stage post-laurea presso l’Istituto italiano di Cultura di Parigi. Dopo i tre mesi di stage, mi dissi che valeva la pena restare e provare a iniziare una nuova vita in una città che da sempre incarnava i miei interessi di studio e il mio immaginario estetico e culturale. Così, ebbi la fortuna di trovare in tempi brevi un lavoro come traduttrice e successivamente ho ripreso in mano il sogno di continuare gli studi iscrivendomi in dottorato.
In quasi otto anni, posso affermare di aver attraversato tutte le «fasi» della vita di uno straniero all’estero, dalla meraviglia al disincanto sino alla costruzione di un’identità irrimediabilmente duplice, nell’entre-deux, come diciamo qui. Contrariamente ad alcuni Italiani che risiedono qui (e siamo davvero tantissimi nella sola Parigi!), all’inizio mi sono imbevuta totalmente ed esclusivamente del mondo francese e francofono, il che mi ha permesso di padroneggiare la lingua in tempi molto brevi (c’è da dire anche che avevo già dei rudimenti). È il consiglio che do in genere ai nuovi arrivati, perché qui la lingua francese è davvero un fattore discriminante per rompere il ghiaccio e cominciare a sentirsi a proprio agio, anche se si mantiene sempre un petit accent!
Nonostante i Parigini (nativi o d’adozione) siano tendenzialmente talvolta un po’ «bizzarri», talaltra un po’ carrés (rigidi, « quadrati »), il fatto di sapere di poter essere compresi nella loro lingua in fondo credo li rassicuri e li sciolga un po’. La vita qui è in effetti cadenzata rigorosamente – come in molte metropoli – e probabilmente la gente ha bisogno di più tempo per scoprirsi, fidarsi, coinvolgere. Forse è proprio per questo che l’entusiasmo del Sud – e la cucina! – che porto con me, hanno spesso suscitato stupore e interesse, diventando fattori di aggregazione e integrazione. Le serate migliori, a casa di amici, sono state quelle in cui anche una semplicissima pasta al sugo l’ha fatta da padrone (per non parlare di lasagne e pettole)! Considerando poi i costi ingenti di Parigi, dagli affitti alle bevande, la soluzione cena/festa in casa si rivela un modo per abbattere i costi e fare conoscenze. Del resto, una delle tradizioni a cui non si può mancare è la pendaison de crémaillère, comunemente crémaillère, ovvero una serata d’inaugurazione di una nuova casa dopo un trasloco, in cui si fa un aperitivo o un apericena, anche se declinati diversamente dall’Italia. Se vi aspettate vassoi di leccornie, tartine, paste, sarete un po’ delusi! Che sia in casa o fuori, l’aperitivo consiste in patatine o noccioline, o al massimo in qualche crostino! E poi, soprattutto per chi come me viene dal Sud, bisogna trovare dei compromessi sul fuso orario…
Per ragioni di lavoro e di cultura, si inizia a cenare/a far serata dalle sette (di sera?!) in poi, mentre per me la sera inizia dalle nove. Soluzione? Tra piccoli ritardi e negoziazioni, tirare almeno alle otto! Ad ogni modo, a qualsiasi ora di qualsiasi giorno e per qualsiasi ragione, se si tratterà di prendere la metro, bisognerà essere preparati al catalogo di alcune tra le idiosincrasie d’oltralpe: il raler (lamentarsi) per tutto e in particolare per i trasporti pubblici, le persone che letteralmente corrono nei corridoi anche la domenica mattina e il posizionamento strategico sulla banchina della metro. Eh già, quando si sa a memoria se mettersi in testa o in coda treno rispetto all’uscita della propria fermata, allora si potrà dire di essere davvero parisien!
Come mi ha raccontato un giorno un tassista, i Francesi sognano l’ordine ma in realtà non lo realizzano appieno, o forse non quanto vorrebbero… in barba a molti stereotipi che li tratteggiano come inflessibili. Certo, l’arte d’arrangiarsi è in un certo senso prettamente italiana e le sortite fuori dagli schemi destabilizzano i miei concittadini (una su tutte: la forma della fila, lineare in un caso, a mucchietto nell’altro); al contempo, anche loro non mancano di quel pizzico di follia che si manifesta nell’ironia, nei motti di spirito, nel deuxième degré. Insomma, in questi anni Parigi e la Francia sono divenute comunque la mia casa, mobile o definitiva non si sa, ma che vive in me accanto alla casa delle mie radici. Di quest’ultima, a costo di cadere mio malgrado in qualche cliché, mi mancano poche ma fondamentali cose, tra cui: la luce definitiva che riscalda in ogni stagione, l’acqua cristallina dello Ionio e i sapori dei cibi con cui sono cresciuta!