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Nelle oasi del deserto del Thar quasi tutte le strutture alberghiere, oltre a un numero elevato di agenzie, offrono la possibilità di fare un safari o di una sola giornata con cena inclusa oppure di due giorni con una notte passata nelle tende, tra le dune. Il business più importante in tal senso si sviluppa a Jaisalmer. Quella che un tempo era la città carovaniera più famosa della regione, è riuscita a conservare il suo primato riconvertendo le rotte dei dromedari dal commercio di merci al trasporto di stranieri.
IN SELLA AI DROMEDARI. Salire sul dorso di un dromedario è un’esperienza letteralmente da vertigine. Quando si alzano, di scatto e con un’agilità inaspettata, ci si rende conto che sono molto più alti di quanto non sembri in un primo momento. Inoltre, l’andatura ondeggiante e nervosa non facilita il recupero di un certo equilibrio. Le selle sul dorso dell’animale sono due, divise dall’unica gobba centrale, e potrebbero portare due persone. Solitamente, però, viene assegnato solo un animale a testa e la seconda sella giova per il trasporto dei pacchi che contengono il necessario per la cena che dovrà essere preparata da lì a poco nel più tradizionale dei modi. Il pelo è duro e secco, leggermente più morbido nella parte della corta criniera e dei curiosi ciuffetti che fanno capolino sul capo ossuto.
IL TRAGITTO. Il tragitto nel deserto del Thar non è lungo, giusto il tempo di raggiungere le dune di sabbia, un po’ più a nord. Silenziose ed eleganti, fanno l’effetto di grosse onde solidificate e ingiallite dal tempo. Camminare sui bordi provoca piccoli rivoli e colate tanto vellutate da sembrare liquide. La sabbia assorbe i rumori, o genera il silenzio. Un cespuglio campeggia nello spazio tra due dune mentre un po’ in lontananza, quando già la roccia contende il paesaggio alla sabbia, un albero scheletrico è arricchito da panni rossi lasciati ad asciugare, come drappi un po’ macabri. Più in là, precluso allo sguardo, sorge un villaggio di capanne e capre. I dromedari, felici, corrono a brucare le dure e ferree piante che fanno capolino qua e là nell’immensità ocra che sembra aver ricoperto ogni cosa. Presto anche loro scompariranno assorbiti dall’orizzonte ondulato, lunare. Sulla cresta di una duna, in lontananza, un’altra carovana. I drappi rossi e gialli dei dromedari sono gli stessi che poi vengono sfilati dai dorsi e stesi per terra a formare stuoie dove sedersi e, soprattutto, dove consumare il cibo cucinato in loco, con attrezzi di fortuna anneriti dal tempo e dall’uso. Il vento accompagna tutto mentre le nuvole rendono più clemente il caldo, ma nascondono in parte il sole prossimo al tramonto.
IL CIBO NEL DESERTO. Non ci sono posate nel deserto del Thar, e solo il chapati (le focaccette non lievitate che sostituiscono il pane in tutta l’Asia) impastato e cotto al momento su una lastra nera lucente, può aiutare a consumare la cena fatta di riso in bianco accompagnato da un minestrone di zucchine e patata, più salsa piccante. Un topino del deserto, morbido quanto un criceto, zampetta audacemente e si rifugia sotto il cespuglio appena in tempo prima di essere aggredito da un enorme corvo bruno, in agguato.
Nel frattempo i colori del tramonto hanno conquistato il cielo a dispetto delle nuvole. Se il cielo si incupisce in rossi e viola, la terra diventa lucida, quasi argentea. Alcuni dromedari tornano dal pascolo, si accovacciano, massici e immobili, statue di loro stessi, contro la tavolozza variopinta che si incupisce sempre di più sulle dune di sabbia lucida del deserto del Thar.
Eleonora Corace
Trova tutte le offerte per alloggi a JaisalmerForse ai viaggiatori più navigati la cosa può sembrare un po’ troppo turistica, eppure è sicuramente consigliabile, preferibilmente in bassa stagione. Al di là dei compagni di trasferta che si fanno i selfie e dei cammellieri che ti strappano la macchina fotografica per infliggerti decine di foto, il deserto va guardato da vicino.
Tutto su Jaisalmer, la Città d’OroIL SAFARI. Si viene condotti in jeep nel pomeriggio lungo la strada dritta e nuova che corre verso nord-ovest, passando dall’hotel più lussuoso della città (praticamente un forte a sua volta), da qualche base militare e dalla fascia di enormi pale eoliche che, in nome dell’energia sostenibile, deturpano a decine il paesaggio. Una volta lasciato tutto questo alle spalle, restano solo il deserto e la strada. I dromedari attendono accovacciati sulle rocce, impacchettati in lunghe coperte colorate, quasi vestiti a festa. Non hanno un’aria allegra, con le ossa occipitali sporgenti e i grossi denti gialli costantemente esposti in smorfie di sbadigli e ruminazione, in genere non sembrano molto espansivi e cordiali. Ma il lavoro che li spetta non è stancante e non fa pensare alla crudeltà e allo sfruttamento che spicca, invece, nell’impiego degli elefanti per il trasporto di turisti. Nessun animale qui viene picchiato o maltrattato e fa solo quello che è abituato a fare, per routine come per natura, camminare nel deserto del Thar. A parte il marchio a fuoco delle diverse mandrie, inciso sul collo o su una coscia, che ne contraddistingue la proprietà, i dromedari sono robusti e sani, e sembrano ben curati. Probabilmente per un rispetto millenario, ma anche per quello che valgono: i cammellieri che li assistono non sono i proprietari delle bestie, che se ben trattate possono vivere sino a 45 anni, e c’è da essere certi che i padroni, per il costo elargito per ogni singolo capo e per il guadagno che ne ottengono con il proficuo business dei safari, esigono un buon trattamento. Viene da pensare, osservandoli, che conducano una vita più sicura e comoda di gran parte della popolazione indiana…

India, alla scoperta del Tempio di JainLA CAROVANA. I cammellieri che gestiscono la piccola carovana del deserto del Thar, composta in questo caso da sole cinque persone (tre ragazze cinesi e due europei), sono tre: il capo è il padre, gli altri i due figli minori, un adolescente il più grande, un bambino di massimo dieci anni il più piccolo. Tutti e tre vestiti con tuniche di colore diverso: bianca quella del padre che procede in testa, blu quella del figlio mediano che chiude la carovana e verde quella del più piccolo che sta ancora imparando il mestiere. Loro procedono a piedi ed alle proteste di chi fa notare che non è giusto che si stanchino, i ragazzini sorridono e rispondono, in inglese, che è quello che fanno sempre, che la strada non è molta e poi funzionava così dai tempi delle vecchie carovane, quelle che passando da queste stesse rotte attraversavano l’intera Asia per finire sulle sponde del Mediterraneo… Che due minori siano ritratti a lavorare non deve, purtroppo, sorprendere. In India il lavoro minorile è drammaticamente diffuso e addirittura giustificato da una legge di Stato che lo consente se svolto “per aiutare la famiglia in difficoltà economica”. Come per secoli è avvenuto nelle tribù dei villaggi che costellano il deserto, i due ragazzini della nostra carovana stavano imparando il mestiere antico degli avi, come se il tempo si fosse fermato o anche passando, non portasse in quelle regioni nessuna novità significativa. Il padre, alto e secco, una volta fermata la carovana, ci spiega che non ci sono scuole in quella zona e che il proprietario paga al mese un salario di 3.000 rupie per il suo lavoro e di 1.000 per quello del ragazzo più grande.
