Italiani a Manchester: “Ho lasciato l’Italia dell’accademismo”

by Veronica Crocitti

La Rubrica “Italiani all’Estero” arriva nella fredda Manchester, tra cene alle 6 di pomeriggio e quella strana usanza di girare in maglietta anche con 4 gradi all’esterno. L’intervista a Isabella Cruciani, giovanissima emigrata italiana.

ISABELLA CRUCIANI. Ho 24 anni e sono nata e cresciuta a Roma nord. Mi sono laureata lo scorso marzo in Letteratura, Musica e Spettacolo alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università la Sapienza Quest’estate ho deciso di postulare a diverse università nel Regno Unito per poter fare il Master “abroad”. Sono stata due mesi a Londra per ‘risvegliare’ il mio inglese ed ho deciso di rifiutare l’offerta del King’s College per dirigermi nel freddo e grigio nord dell’Inghilterra: Manchester. A metà settembre mi sono trasferita ed ho iniziato questo nuovo percorso alla University of Manchester. Non è la mia prima esperienza all’estero, ho vissuto più di 10 mesi a Parigi, due anni fa, grazie alla borsa Erasmus. Ho frequentato la Sorbonne e scoperto una delle più belle città al mondo.

A Manchester ho passato il primo semestre studiando poiché il Master è molto impegnativo e la lingua richiede tempo, che al momento non ho. Non vorrei sacrificare le mie energie per trovare un lavoretto con cui potrei guadagnare poco e così rischiare di essere meno produttiva nello studio. Dal prossimo gennaio inizierò ad insegnare italiano – senza ricevere stipendio – in una Società Internazionale che lavora come centro di incontro per gli stranieri di tutto il mondo ed offre vari tipi di attività.

Mi sono trasferita perché non avevo nessuna intenzione di proseguire i miei studi in Italia, dove regna l’accademismo. Sentivo il bisogno di qualcosa di più pratico e costruttivo per il mondo del lavoro, non il solito librone da studiare da cima a fondo, di pari passo alla divinizzazione de professore. Posso dire che mi sto trovando bene e nonostante i dibattiti post Brexit gli inglesi continuano ad essere persone amichevoli e molto alla mano. Ognuno fa il proprio dovere seguendo fedelmente le regole, quindi c’è un’organizzazione ed efficienza generale maggiore rispetto ad alcune regioni dell’Italia. Sto cercando di non focalizzarmi troppo sul “dopo” e vedere cosa mi offrirà quest’esperienza, sicura che strada facendo incontrerò qualcosa di nuovo, anche attraverso la internship offerta dal mio corso di studi.

L’idea generale è quella di restare più di un anno, magari spostandomi da Manchester (che non mi ha colpita particolarmente!) o addirittura provare un altro paese nel nord Europa. Comunque l’Italia non la escludo. Sicuro non potrei rimanere più di tre anni in Inghilterra! Non mi sento totalmente a casa, percepisco una marcata differenza culturale che non rispecchia i miei standard e le mie abitudini.

Le usanze più strane sono la cena alle 6, il latte nel te, il “cheers” per salutare, dire grazie e brindare. Il lavandino del bagno con due rubinetti e le nudità invernali, gente in maglietta con 4 gradi di temperatura esterna. Non credevo sarei arrivata a dirlo ma mi manca la mia lingua, le frasi lunghe e decorate di aggettivi ed avverbi, la luce del “sud” e il sapore della frutta e della verdura. Provola, impossibile a trovare!

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2 commenti

Alain 2 January 2017 - 16:00

Molto limitante lasciare il giudizio di una citta’ a chi c’e’ e ci sara’ per poco e proviene da quella generazione di connazionali che non ha bisogno di cavarsela da soli, che puo’ permettersi di non lavorare. Ancora peggio poi e’ non sforzarsi di capire altre culture, che ci sono anche modi diversi di pensare e fare le cose. E perdere cosi’ un’occasione di arricchimento personale.

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